mercoledì 20 agosto 2025

LA DEPRESSIONE MAGGIORE IN COMORBILITÀ CON IL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE: CLINICA E TERAPIA. LE DIECI COSE DA SAPERE

Id Provider: 555

Evento n°  455018 


Data inizio:   08/09/2025  

Data fine: 31/12/2025         


Crediti assegnati:  7

Corso gratuito

https://formazioneadistanza.expopoint.it/courses/2071


La comorbilità psichiatrica è una condizione tutt’altro che rara. Tutte le malattie mentali presentano un rischio aumentato di abuso di sostanze rispetto alla popolazione generale e, nella maggior parte dei casi, le dipendenze coesistono con un’altra patologia psichiatrica. Le forme cliniche più gravi di addiction si manifestano in circa il 10% delle persone esposte alle sostanze, mentre almeno il 30% dei pazienti con una diagnosi psichiatrica fa uso di alcol o droghe, spesso come tentativo di autogestione della propria condizione. Allo stesso modo, oltre la metà delle persone con Disturbo da Uso di Sostanze sviluppa nel corso della vita un disturbo psichiatrico.

Nonostante la rilevanza del fenomeno, circa il 50% dei soggetti che soffrono contemporaneamente di un disturbo mentale e di un disturbo da uso di sostanze non riceve alcuna forma di trattamento, e solo il 9% accede a cure integrate per entrambe le patologie.

Tra le condizioni psichiatriche maggiormente associate alle dipendenze, la depressione rappresenta il disturbo più comune, con tassi di comorbilità che raggiungono il 20%. La depressione è oggi una delle malattie più diffuse e in crescita a livello globale: oltre 300 milioni di persone nel mondo ne sono affette, rendendola la principale causa di disabilità nei Paesi occidentali. In Italia coinvolge più di 2,8 milioni di individui sopra i 15 anni, con una prevalenza doppia nelle donne rispetto agli uomini.

Esiste una stretta correlazione tra la gravità del Disturbo da Uso di Alcol e l’intensità del Disturbo Depressivo Maggiore nelle persone comorbili. La depressione, infatti, aumenta il rischio di ricorso alle sostanze, favorisce le ricadute e contribuisce alla cronicizzazione della dipendenza. Nonostante ciò, la componente depressiva che accompagna l’abuso di sostanze viene spesso sottovalutata o non diagnosticata, lasciando senza trattamento una delle variabili più significative nella genesi e nel mantenimento della dipendenza.

Per questo motivo, indagare e trattare adeguatamente i disturbi dell’umore nei pazienti dipendenti rappresenta una priorità clinica. La gestione efficace della depressione riduce il consumo di sostanze, migliora la prognosi della dipendenza e favorisce una migliore qualità di vita.

Le evidenze scientifiche sottolineano l’importanza di un approccio terapeutico integrato e condiviso tra tutti gli operatori coinvolti, al fine di garantire interventi realmente efficaci nei casi di patologia duale.

Questa FAD è dedicata proprio all’approfondimento della depressione in comorbilità con i disturbi da uso di sostanze e ha come obiettivo quello di fornire strumenti pratici e terapeutici per una presa in carico completa e integrata del disturbo duale.

Chi svolgerà questo corso può condividere opinioni, dubbi o altro nei commenti qui sotto. Grazie mille a tutti!

martedì 19 agosto 2025

QUATTRO LEZIONI DI PAOLO MIGONE

Id Provider: 18

Evento n°   456831


Data inizio: 18/08/2025

Data fine:    31/12/2025       


Crediti assegnati: 4

Corso gratuito

https://stilemaeventi.it/event/quattro-lezioni-di-paolo-migone


Il disturbo borderline 

Paolo Migone affronta un tema importante e dibattuto, che da decenni interessa gli psicoterapeuti: ripercorre gli aspetti descrittivi, storici, psicodinamici e terapeutici del disturbo borderline, in un excursus che arriva fino alle ricerche più recenti. La lezione prende le mosse dalla nascita della parola “borderline”, originariamente aggettivo, diventata nel tempo sostantivo secondo alcune classificazioni diagnostiche. Se alla metà del Novecento il disturbo, associato alla schizofrenia (e per questo si parlava di borderline schizophrenia, in cui borderline era un aggettivo che significava “al bordo della schizofrenia”), collocava questi pazienti gravi in una terra di mezzo tra nevrosi e psicosi ma vicini alla psicosi, la valutazione cambiò radicalmente con Robert Spitzer. Lo psichiatra americano, a capo della task force incaricata di redigere il DSM-III del 1980, elencò una serie di criteri diagnostici dai quali emergeva un nuovo significato del termine “borderline”. Il paziente che verrà inizialmente definito come caratterizzato da una unstable personality (personalità instabile) sarà descritto non più come vicino alla schizofrenia bensì come impulsivo, arrabbiato, a volte molto depresso. Quindi con la nuova diagnosi potremmo dire che il paziente borderline non si colloca più vicino alla schizofrenia ma all’altra delle due psicosi maggiori, la psicosi maniaco-depressiva, oggi chiamata “disturbo bipolare”. Questa tendenza a dare priorità ai disturbi dell’umore peraltro caratterizzerà tutta l’impostazione del DSM-III. La storia del disturbo borderline nel susseguirsi dei vari DSM è ripercorsa da Migone soffermandosi in particolare sul DSM-5, la cui sezione sui disturbi di personalità venne totalmente rinnovata su basi dimensionali e non più categoriali, ma che la stessa American Psychiatric Association decise all’ultimo momento di abbandonare giudicandola troppo complessa per il clinico e di collocarla nella Sezione III del manuale Migone elenca i nove criteri diagnostici del disturbo borderline del DSM-IV (e quindi del DSM-5), sottolineandone gli aspetti problematici per quanto riguarda la validità di costrutto, tanto è vero che fu presa in considerazione anche la possibilità di eliminarlo dal manuale. Nella parte storica, vengono passate brevemente in rassegna le numerose definizioni del disturbo borderline date già a partire dai primi decenni del Novecento, per mostrare quanti ricercatori, anche e soprattutto di area psicoanalitica, hanno lavorato attorno a questo quadro clinico. 

La diagnosi secondo i DSM 

Dei cinque DSM (cioè le varie edizioni del manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association) il corso accenna inizialmente al primo e al secondo rispettivamente del 1952 e del 1968 – privi di criteri diagnostici, quindi di scarsa importanza – focalizzandosi sulla rivoluzione del terzo, il DSM-III del 1980, che si è imposto superando come importanza l’ICD (ovvero l’International Classification of Diseases) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il DSM-5 ha seguito le caratteristiche del DSM-III, introdotto in anteprima per l’Italia proprio da Paolo Migone sulle pagine della rivista “Psicoterapia e Scienze Umane” (dove ha presentato anche i successivi DSM e i PDM, cioè le edizioni del Manuale Diagnostico Psicodinamico). Il DSM-III è stato il primo ad adottare un criterio non teorico ma descrittivo, che consiste nel descrivere i sintomi come li vede il clinico: così facendo si cercava di superare lo scoglio delle diverse teorie che impediva ai clinici di trovare un accordo, e anche di salvare la psichiatria dalla crisi dell’attendibilità delle diagnosi. Infatti risultava, ad esempio, che vi fossero molte più diagnosi di schizofrenia negli Stati Uniti che in Europa: è stato possibile dimostrare che non si trattasse di un dato epidemiologico ma dovuto a diversi criteri per fare diagnosi. Migone mette poi in luce alcune dicotomie dei DSM (politetico/monotetico, validità/attendibilità, e categorie/dimensioni), e discute il sistema multiassiale, purtroppo eliminato dal DSM-5. Vi era l’aspettativa che il DSM-5 riuscisse a superare la crisi dei DSM, però si può dire che il tentativo di raggiungere non solo l’attendibilità ma anche la validità sia fallito, e la comorbilità si è rivelata il tallone di Achille dei DSM. Per risolvere questa crisi il DSM-5 ha introdotto alcuni aspetti dimensionali e ha richiesto che in certe diagnosi alcuni criteri diagnostici fossero sempre presenti. È stato poi formulato un nuovo modello dimensionale per i disturbi di personalità, alla fine escluso perché troppo complesso e perché si temeva potesse incidere sulle vendite, pertanto non si poté fare altro che reintrodurre tutte le diagnosi di personalità del DSM-IV, con i relativi problemi di validità. Altre novità del DSM-5 sono l’introduzione del concetto dimensionale di “spettro” per vari disturbi e l’abbassamento delle soglie diagnostiche, che implica un aumento di diagnosi con un conseguente maggiore uso di farmaci, a vantaggio delle case farmaceutiche. Si è anche formato un movimento internazionale di boicottaggio del DSM-5, al quale hanno partecipato anche i capi delle task force dei due precedenti DSM. 

La molteplicità dei modelli in psicoterapia 

In psicoterapia esistono molti approcci, a volte addirittura opposti, per affrontare un medesimo disturbo. Come superare tale impasse? Una soluzione potrebbe essere applicare il metodo sperimentale per verificare l’efficacia delle diverse tecniche, ma è difficile attuare in psicoterapia gli “studi randomizzati controllati” (randomized controlled trials [RCT]) così come si fa con i farmaci (“doppio cieco”, uso del placebo, etc.) Ma perché esistono tante scuole psicoterapeutiche? Migone sottolinea come occorra una prospettiva storica. Ad esempio, alcune scuole sono sorte come reazione ad altre, oppure per specifiche diagnosi o fasce di età. Inoltre certe scuole sopravvivono per semplice ignoranza degli altri approcci, o per tradizione storica, di fedeltà ai “padri fondatori”, quindi per motivi affettivi, o per quella che Migone chiama “insicurezza di identità”. Vi sono poi scuole che usano terminologie diverse ma dietro alle quali vi sono gli stessi concetti, e vi è una resistenza a prenderne atto. Esiste un movimento per l’integrazione in psicoterapia, la Society for the Exploration of Psychotherapy Integration (SEPI), di cui esiste anche un gruppo italiano che Migone anni fa ha contribuito a fondare, che lavora in questo senso. La SEPI non mira all’eclettismo (che è clinico), ma all’integrazione teorica dei diversi modelli. È importante conoscere modelli diversi, perché il paziente potrebbe sentirsi compreso meglio da un approccio piuttosto che da un altro. Non solo: idealmente lo psicoterapeuta avrebbe dovuto fare esperienza personale di certe sofferenze psicologiche perché è in questo modo che riesce a comprendere il paziente, e quest’ultimo a sentirsi compreso. Lo psicoterapeuta quindi dovrebbe essere una persona che non si richiude nella “parrocchia” della propria scuola, altrimenti tenderà a vedere in tutti i suoi pazienti il modello che ha imparato. La proposta che fa Migone è ritenere legittimi i diversi modelli psicoterapeutici in quanto guardano il paziente da una loro prospettiva, in una ricerca infinita. Non c’è un solo modo per conoscere “la verità”, che è inconoscibile. Occorre lasciar aperto il campo della ricerca in psicoterapia, affinché continuino a sussistere modi diversi di conoscere il paziente, altrimenti si arresterebbe il processo di conoscenza. 

Inconscio psicoanalitico e cognitivo 

L’inconscio psicoanalitico e l’inconscio cognitivo non sono due “fedi” rivali, ma due tipi di processi inconsci studiati maggiormente da autori della tradizione psicoanalitica il primo e di quella cognitiva il secondo. E si è capito che non esiste un inconscio, ma molti inconsci, e sia gli psicoanalisti che i cognitivisti ne sono ben consapevoli. L’inconscio psicoanalitico è “dinamico”, nel senso che certi contenuti mentali possono passare dallo stato conscio a quello inconscio e viceversa. Un trauma ad esempio può essere dimenticato perché doloroso, ma in certe condizioni favorevoli tornare alla memoria. La psicoanalisi postula che il prezzo pagato per questa rimozione può essere un sintomo (ad esempio una depressione), che può scomparire se si riesce a ricordare ed elaborare quel trauma che era stato rimosso. Un’altra caratteristica dell’inconscio psicoanalitico è quella di essere, come una volta lo definì Freud, un “calderone ribollente” di impulsi e desideri. Questo aspetto lo rende molto diverso dall’inconscio cognitivo, dove si parla invece di “cognizioni”, di problem solving, e di “processi” più che di “contenuti”. Il terapeuta cognitivo concepisce l’inconscio come rappresentazioni mentali implicite o tacite, cioè non consapevoli, le quali, se disfunzionali, vanno modificate, cercando di renderle consapevoli. Si suol dire che il cognitivismo sia l’erede del comportamentismo, nel senso che si è passati dal semplice modello stimolo-risposta (S-R) alla concezione di una “mediazione cognitiva” che si infrappone tra S e R, cioè a un modello più complesso. In realtà i due padri storici della terapia cognitiva, Aaron Beck e Albert Ellis, provenivano dalla psicoanalisi, e volevano proporre un trattamento più semplice e più breve di quello psicoanalitico. Per inconscio cognitivo si intende quella parte del funzionamento mentale che è inconscia non perché è stata rimossa, ma perché non è mai stata conosciuta, e quindi non potrà mai essere ricordata, né è utile che lo sia. Si può anche dire che l’inconscio cognitivo sia quella parte di noi “che non si può mai ricordare né dimenticare”, ed è una parte importantissima per la vita quotidiana perché regola i movimenti automatici (andare in bicicletta, camminare, ecc.). Ma riguarda anche i rapporti interpersonali e gli stili di attaccamento.

Chi svolgerà questo corso può condividere opinioni, dubbi o altro nei commenti qui sotto. Grazie mille a tutti!

mercoledì 30 luglio 2025

TRE LEZIONI SULLA GUERRA

Id Provider: 18

Evento n°   456839 


Data inizio: 08/08/2025

Data fine:    31/12/2025       


Crediti assegnati: 3

Corso gratuito

https://stilemaeventi.it/event/tre-lezioni-sulla-guerra


La guerra, oggi più che mai, rappresenta un argomento di stringente attualità. Mentre il conflitto nel cuore dell’Europa prosegue, un nuovo e drammatico scenario si è aperto in Medio Oriente. Questa realtà impone una riflessione sulla tenuta psicologica e sulle conseguenze psichiche per chiunque ne sia coinvolto, direttamente o indirettamente. È fondamentale, inoltre, ripensare le modalità di intervento e di trattamento terapeutico alla luce di questi scenari.


Etica del conflitto e guerre fratricide

Maurizio Bettini, senza entrare nei conflitti contemporanei, propone una riflessione profonda sulle radici linguistiche e culturali del concetto di guerra. Analizzando le parole che i romani usavano per indicare il nemico – hostis come pari legittimo, distinto da inimicus, il nemico personale – Bettini ricostruisce un’etica del conflitto oggi smarrita.

Attraverso episodi tratti dall’Iliade, dalla mitologia romana e dalle memorie familiari, emergono valori arcaici in cui il riconoscimento dell’altro, anche in guerra, rappresentava un elemento nobilitante. I combattimenti narrati nell’Iliade, pur crudi e violenti, esprimevano un’ideale di valore e onore.

I romani, inoltre, distinguevano tra guerre giuste (bellum iustum) e guerre indegne, come quelle contro predoni (perduelles), rifiutando ogni legittimazione della violenza indiscriminata.

Emblematico è il racconto della guerra tra romani e albani: un conflitto tra popoli consanguinei, reso ancor più empio e contaminante dalla tragedia degli Orazi e Curiazi. Questa “guerra fratricida” antica sembra oggi rispecchiarsi nel dramma europeo, dove popoli storicamente fratelli si affrontano in un conflitto devastante.


Traumi di guerra e conseguenze psicopatologiche

Maria Silvana Patti offre un’analisi attuale e concreta del trauma da guerra, dei suoi esiti psicopatologici e degli interventi terapeutici da mettere in atto. La guerra in Ucraina ha riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale sulle conseguenze psicologiche della guerra, che non coinvolgono solo i combattenti, ma anche civili, soccorritori, giornalisti, operatori umanitari e persino gli spettatori lontani, esposti al cosiddetto trauma vicario.

Dagli studi antichi – come le osservazioni di Senofonte – ai primi approcci scientifici sul trauma psicologico (Hermann Oppenheim, fine Ottocento), la riflessione sul danno psichico legato alla guerra si è evoluta, culminando nel riconoscimento ufficiale del disturbo post-traumatico da stress (PTSD) nel DSM III (1980).

Nel corso, si evidenziano le principali strategie di intervento nelle emergenze, con un focus sui bambini, spesso esposti al trauma senza protezione né strumenti per elaborarlo. La docente sottolinea l’urgenza di prevenire la trasmissione intergenerazionale del trauma, poiché società future costruite su individui incapaci di elaborare la sofferenza rischiano di diventare profondamente fragili.


Psicologia, guerra e trauma: riflessioni di Miguel Benasayag

Miguel Benasayag, psichiatra e filosofo, porta in aula un'esperienza personale intensa: da giovane militante argentino, fu imprigionato e torturato durante la dittatura. All'interno del carcere, si occupava clandestinamente di prendersi cura psicologicamente dei compagni di prigionia. Da allora, si interroga su come sia possibile curare chi è stato completamente spezzato dalla violenza.

Oggi, di fronte ai traumi dei sopravvissuti agli attentati, ai rifugiati, o ai bambini segnati dalle guerre, Benasayag invita i clinici a ripensare il loro ruolo. La figura dello psichiatra non può più offrire rassicurazioni illusorie: vive lo stesso mondo minaccioso del paziente.

La sua proposta, chiamata “terapia situazionale”, parte dal presupposto che non si può più promettere un futuro rassicurante. Al contrario, il compito del terapeuta è accompagnare il paziente in un presente complesso e inquietante, senza mentire, accettando di non avere tutte le risposte. In un mondo dove il futuro è diventato minaccia – tra crisi ecologiche, guerre e pandemia – è necessario costruire un’etica dell’esistenza qui e ora.

Come recita Beckett: "Questo è il nostro tutto". Ed è da qui che bisogna ripartire.

sabato 5 luglio 2025

SCLEROSI MULTIPLA E PATOLOGIE DEMIELINIZZANTI AD ESSA CORRELATE (NMOSD E MOGAD)

Id Provider: 6945

Evento n°  445011 


Data inizio:  14/07/2025

Data fine:   31/12/2025          


Crediti assegnati: 3

Corso gratuito

https://www.imfad.it/course/Sclerosi-Multipla-e-patologie-demielinizzanti-ad-essa-correlate-NMOSD-e-MOGAD


In questo corso si tratta dei seguenti argomenti:
-La neuroriabilitazione
-Le cure palliative
-Terapie sintomatiche: spasticità
-La fatica
-I disturbi urologici e sessuali
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venerdì 27 giugno 2025

METODICHE YOGA DI RESPIRO (PRĀṆĀYĀMA) NELLA RELAZIONE TERAPEUTICA E NEL TRATTAMENTO DELLE ADDICTION

Id Provider: 4995

Evento n°  452269


Data inizio:   01/05/2025 

Data fine:   31/12/2025          


Crediti assegnati: 2

Corso gratuito

https://www.spazioiris.it/project/metodiche-yoga-di-respiro-pra%e1%b9%87ayama-nella-relazione-terapeutica-e-nel-trattamento-delle-addiction/


In questo corso si tratta dei seguenti argomenti:
-Le dipendenze oggi: diffusione, caratteristiche e criticità dei trattamenti tradizionali
-Il ruolo del corpo e delle tecniche corporee nella relazione terapeutica
-Il prāṇāyāma come pratica condivisibile nella relazione terapeuta-paziente
-La funzione del respiro: fisiologia e significati simbolici e culturali
-La proposta di un linguaggio condiviso tra pratica clinica e discipline yogiche
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Per accedere a questo corso è necessario cliccare sul link sopra indicato e seguire le istruzioni riportate (Info e istruzioni per l’iscrizione).

sabato 21 giugno 2025

SOLITUDINE E DEPRESSIONE: UNA RELAZIONE COMPLESSA - LONELINESS AS A PUBLIC MENTAL HEALTH CONCERN

Id Provider: 93

Evento n°  454183 


Data inizio:   27/06/2025  

Data fine: 05/09/2025         


Crediti assegnati: 2

Corso gratuito

https://sopsifad.edubit.it/courses/6



In questo corso si tratta dei seguenti argomenti:

-Solitudine e depressione: una relazione complessa
-Loneliness as a public mental health concern

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Per iscriversi a questo corso è necessario cliccare sul link sopra indicato, poi cliccare su ACCEDI oppure REGISTRATI (inserendo i dati personali richiesti); una volta confermata la registrazione, sarà possibile iscriversi al corso FAD.

RICONOSCERE E TRATTARE L’ADHD NELL’ADULTO NEI SERVIZI CHE SI OCCUPANO DI SALUTE MENTALE

Id Provider: 39

Evento n°  451472 


Data inizio:   16/06/2025  

Data fine: 31/12/2025         


Crediti assegnati:  4,5

Corso gratuito

https://ecufad.it/2024/schede-corsi/adhd.html


In questo corso si tratta dei seguenti argomenti:

-Clinica dell’ADHD in età adulta: dalla variabilità neuropsicologica all’impatto sul funzionamento
-Dalla misdiagnosi alle comorbidità: riconoscere correttamente l’ADHD nell’adulto e il suo impatto sul quadro clinico
-Trattare farmacologicamente l’ADHD nell’adulto nella pratica clinica
-Sviluppare strategie di adattamento funzionale all’ADHD per ridurne l’impatto clinico e favorire il benessere individuale: gli interventi non farmacologici

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LA DEPRESSIONE MAGGIORE IN COMORBILITÀ CON IL DISTURBO DA USO DI SOSTANZE: CLINICA E TERAPIA. LE DIECI COSE DA SAPERE

Id Provider: 555 Evento n°    455018   Data inizio:    08/09/2025    Data fine:  31/12/2025           Crediti assegnati:   7 Corso gratuito ...